In Hippocratis De humoribus tradotto da Giovanni Battista Rasario: In librum Hippocratis de humoribus

Traduzione dal greco di Giovanni Battista Rasario


Traduzione completa


Data: 1562


Lettera di Giovanni Battista Rasario a Niccolò Sammicheli


Inc. lettera: Quantum studii adhibuerim, quantumque temporis in eo posuerim


Luogo e data: tam diu meae in te maxime observatiae, et pietatis monimentum extet.


Inc. testo: Maxima fuit inter veteres Hippocratis interpretes de libro qui de humoribus inscribitur dissensio


Expl. testo: in obscuris, et aenigmatum similibus orationibus diutius versemur


Fonte: 1562-63 Venezia, Valgrisi (ed. completa)


Note
L'originale greco del Commento al De humoribus andò perduto in greco dopo il IX sec., e quello stampato nell'edizione di Kühn è un falso preparato da Giovanni Battista Rasario.
Nella dedica ad Alfonso II d'Este, inclusa nell'edizione completa di Galeno stampata da Valgrisi nel 1562-63, Rasario racconta del fortuito ritrovamento del testo greco del Commento al De humoribus, che sarebbe avvenuto quando l'edizione era già in fase avanzatissima, quindi la sua traduzione era stata aggiunta nella classe dei commenti (vol. 8), in posizione d'apertura. Si spiega così la doppia numerazione dell'ottavo volume dell'edizione (cf. 8.1; 8.2).
Questa traduzione di Rasario fu pubblicata anche in un'edizione singola stampata da Valgrisi nello stesso anno (1562.7); in quest'ultima la traduzione è preceduta da una dedica al medico Niccolò Sammicheli, in cui si menzionano due manoscritti greci del Commento: uno di difficile lettura, piuttosto scorretto e non particolarmente antico, e un secondo esemplare, più utile e antichissimo. Il testo del falso risulta effettivamente contenuto in due mss. greci: Par. Suppl. gr. 2 e Par. Coisl. 163; in ques'ultimo la mano che annota i passi paralleli in margine è stata attribuita a Rasario da Pietrobelli 2009, in base a un confronto con i marginali del codice oribasiano Vlad. 498.
La fonte principale del falso è costituita dalle opere di Oribasio, non solo estratti provenienti da Galeno (ad es. Quos, quibus et quando purgare oporteat), ma anche da Rufo di Efeso. Rasario aveva una conoscenza profonda delle opere oribasiane per averle tutte tradotte in latino negli anni '50 del Cinquecento.
In seguito questa traduzione fu ristampata nel 1567, nelle Giuntine dal 1586 al 1625, nell'edizione di Chartier (1639, VIII, 508-582), e infine in quella di Kühn (1829, XVI, 1-488), che pubblicò per la prima volta il testo greco.
Il falso fu smascherato da Karl Kalbfleisch all'inizio del Novecento. Sulle fonti utilizzate da Rasario hanno pubblicato contributi diversi studiosi, a partire da Deichgräber 1972, che studiò la storia e la ricezione dello scritto sugli Umori, fornendo le prove della falsificazione e indicando in Rasario l'autore; cf. Garofalo 2009, 201-204, e Savino 2020b, 69-82.


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Saggi


Autore della scheda: Fortuna e Savino (2023)